Avrebbe potuto, Roger Federer, diventare il più anziano a vincere Wimbledon, superando il record di ieri di Serena Williams (vincitrice a 33 anni e 289 giorni). Avrebbe tanto voluto esserlo, lo svizzero che oggi ha 33 anni e 338 giorni. Lo avrebbe voluto anche la stragrande maggioranza degli spettatori del Centrale del tempio londinese. Ma non Novak Djokovic. Il numero uno del mondo. Il più forte oggi in circolazione. Tennista talmente grande da digerire la batosta del Roland Garros di tre settimane fa patita da Stanislas Wawrinka per prendersi il torneo più famoso del mondo, che ha confermato la sua bellezza, il suo fascino e la sua suggestione. Era il quarantesimo confronto tra i due campioni, e Djokovic ha pareggiato i conti: 20-20. Ma è un successo che vale il terzo Wimbledon al serbo, che viene idealmente ringraziato da William Renshaw (dalla tomba) e Pete Sampras (dagli Usa) che hanno rischiato di essere superati dallo svizzero nel numero di successi sull’erba di Church Road. Federer resta a dunque a sette Wimbledon conquistato, e soprattutto non riesce ad imporsi in uno Slam da ormai oltre tre anni. Eppure non si può dire che non ci abbia provato. Che non si sia presentato al meglio. E la finale aveva cominciato a giocarla meglio proprio lui, tanto da togliere il servizio al serbo nel quinto game, cosa che aveva mandato in visibilio il pubblico. Peccato, per Federer e i suoi, che Djokovic abbia reagito immediatamente e, senza colpo ferire, sia stato in grado di ribattere al colpo. Da quel momento, da quel 4-4 del primo set, i due hanno alzato il livello di gioco e la conclusione logica è stato il tie-break, del quale s’è impadronito facilmente Djokovic che l’ha chiuso 7-1, in 45 minuti. Lo slancio avrebbe potuto dare un’ulteriore spinta a Djokovic, invece Federer – che aveva subito psicologicamente il tie-break – ha saputo tenere duro e rimanere attaccato al match, come si dice in gergo. La sua resistenza è stata stoica, perché alla fine di quel set Djokovic avrà commesso soltanto due errori. E per questo va ulteriore merito allo svizzero che, approdato di nuovo al tie-break, ha avuto la forza di non mollare e di annullare qualcosa come sette set-point al numero uno del mondo, prima di sorprenderlo e pareggiare lo score della finale dopo altri 65 minuti: 12-10 al tie-break. L’estasi per la partita pari è durata poco: Djokovic deve essersi ricordato di aver vinto 12 delle 13 sfide precedenti contro Federer nelle quali aveva ottenuto il primo set con Federer (unica rimonta di Federer a Dubai 2014). E così ha ripreso a macinare il suo gioco incredibile di gambe, quel suo essere muro, giocatore capace di rimandare sempre di là la palla, prevenire le accelerazioni di Federer: ha stupito con i suoi colpi sempre all’incrocio delle righe anche dopo colpi da antologia dello svizzero. Neppure l’interruzione del match per pioggia ha aiutato Federer nel ripensare la sua strategia: in soli trentadue minuti lo svizzero si riposta in vantaggio chiudendo 6-4. A quel punto anche altre statistiche si sono aggiunte contro lo svizzero: Federer infatti non ha mai vinto una finale Slam quando è stato in svantaggio 2 set a 1 (0-6). Djokovic è 7-0 quando in vantaggio due set a uno. E Wimbledon non ha voluto smentire questa tendenza: l’inerzia del match era nelle mani del serbo, e Federer non ha più saputo/potuto trovare nuove chiavi tattiche. Probabilmente non l’avrebbe potuto nessuno: per Djokovic è il nono Slam della sua carriera. Il 2015 è dunque assolutamente l’anno dei leader: Serena Williams e Novak Djokovic hanno davvero ribadito il loro dominio, e nessuno sembra in grado di interrompere la loro striscia trionfale.
di Paolo Rossi